In occasione della mostra collettiva
16 Artisti per "Virginia Sancta"
presentata presso il Museo Diocesano di Genova
dal Novembre 2004 al Gennaio 2005
e nell'Oratorio N.S. di Castello di Savona nel Febbraio 2005
il bel catalogo della mostra si apriva con testi scritti:

  • del Card. Tarcisio Bertone
  • di Suor Maria Daniela Burol, Superiora Generale delle Suore di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario (Brignoline)
  • di Don Andrea Giusto, Vicario Gen. Diocesi Savona e Noli
  • di Paola Martini
  • di Francesca Centurione Scotto Boschieri
  • di Ombretta Fumagalli Carulli, Accademico Pontificio per le Scienze Sociali, Ordinario di Diritto Canonico dell'Università Cattolica del Sacro Cuore
e riportava il seguente testo critico di Silvia Bottaro

Arturo Santillo, il suo “percorso” artistico inizia in età giovanissima e la sua prima mostra collettiva è del 1972. Anna Maria G. Solia nel 1974, facendo seguito alla sua partecipazione ad un concorso locale, lo invita ad esporre presso la Galleria Arte Tre in Genova. Dalla metà, quindi, degli anni Settanta del Novecento si avvia il suo cammino nel mondo della cultura e dell’arte. Fondamentali per Santillo alcuni incontri con critici come Guido Arato (lo invita alla rassegna “Il figurativo alle soglie degli anni 80”), Mauro Bocci, Dino Pasquali che nel 1992 lo invita alla rassegna “Pittori a Todi”. Germano Beringheli nel 1980 lo segnala su “Eco d’arte” ed è inserito nel volume Il Gruppo dell’Acquasola, “Una stagione dell’arte genovese (1953 — 1972). Per ulteriori ragguagli sul suo “cammino” artistico si rinvia a: Arturo Santillo La moralità dell‘immagine, cat. mostra personale, Savona Palazzo delle Azzarie, Savona 2001, testo critico di Silvia Bottaro.
Certamente originale il suo approccio alla realtà contemporanea, alle problematiche anche legate al mito, alle tematiche dell’arte sacra, risolto, però, con un appressamento laico che sottolinea lo sguardo, a volto sbigottito, che traduce l’opera con una sospensione metafisica. L’accentuazione della non temporalità, il fatto che nei lavori di Santillo non vi siano note paesaggistiche evidenti, mette in rilievo la sua ricerca interiore, tesa a guardare l’uomo. Le tribolazioni portano la figura umana a staccarsi dal dato reale per essere una “metafora altra” che è aiutata da una tavolozza alquanto personale con accenti cromatici molto misteriosi, a volte magici, sempre silenti. Santillo pare guardare con acutezza al mondo della filosofia, al malessere quotidiano, alla difficile comunicazione dei suoi uomini o delle sue donne.
Pittura problematica, esigente, di grande pathos, espressa, quasi sempre, attraverso le importanti dimensioni della tela. A ben osservare tali lavori, impegnativi sia dal punto di vista ideativo sia da quello realizzativo, ci pare di cogliere il pittore intento a trattenere il respiro quando le sue facoltà convergono per captare la realtà, è allora che sullo spazio bianco della tela corrono i segni, le figure geometriche si scompongono. Crea, in tal modo, l’immagine che diviene gioia fisica e spirituale. Santillo, ci pare di poter dire, mette sulla stessa linea di mira, d’intensità, la testa, l’occhio ed il cuore.
Pittore amante della solitudine (non anacoreta) intesa quale dimensione dell’io da rivalutare nella globalità accelerata odierna, artista fuori dalle mode dominanti. La sua solitudine è continua ricerca di sé o di un dialogo con gli altri. Questo apparente isolamento per Santillo è necessario per ascoltare le corde profonde che muovono le membra, i muscoli, i tendini delle sue figure: l’Artista ha inventato, in tal modo, un linguaggio che pur avendo le basi, forse, in certa statuaria, è alquanto moderno nell’essenzialità dello spazio, nell’assenza-presenza del paesaggio reale e geografico creando, invece, una geografia dell’anima nuova e diversa e nella forza, nell’energia e nell’intensità della figura stessa che diviene nuovo “lessico” del suo originale linguaggio di espressione d’autore.